Gherardini dal 1885 ad oggi
Renzo Gherardini
Il nonno Garibaldo, la nonna Elvira, mia zia paterna Ida, mio padre Gino, mio zio Ugo, suo fratello, mia madre Norma Maria, mio cugino Roberto, mio fratello Pier Luigi, mia cognata Maria Grazia, mia cugina Gabriella, moglie di Roberto, tutti questi miei congiunti, un piccolo esercito familiare, sono stati i creatori e i continuatori di una realtà artigianale che da un piccolo vicolo nel centro antico di Firenze, sereno come il suo nome, via del Fiordaliso, si è diffusa in tre continenti, radicandovi un nome: Gherardini.
Oltre cento anni di storia, oltre cento anni di bellezza ampiamente diffusa nelle società e negli ambienti più diversi: a me, dal destino, per vocazione precoce, completamente diverso, l’umilissimo e insieme affettuoso compito, con il rammentarne il nome, di ricordarne l’opera: un’opera ancor ben viva nell’oggi e proiettata, per l’impegno degli attuali gestori dell’azienda, i signori Braccialini, in un altrettanto lungo domani.
Caterina Chiarelli
La firma Gherardini nasconde una grande storia, la storia della lunga vita di un’attività, espressione della perizia e della genialità dell’artigianato fiorentino e pertanto illustre rappresentante del Made in Italy. I membri della famiglia che hanno gestito questo marchio fino al 1990, conferendogli un’impronta inconfondibile nello stile e nella lavorazione, hanno saputo creare e rigenerarsi costantemente, indagando e fornendo risposte alle sempre nuove esigenze del cliente e adeguandosi ad esse nel trovare, attraverso la sperimentazione e la lavorazione, materiali e tecniche che di volta in volta si attagliavano maggiormente all’oggetto da realizzare. La ditta, nata nel 1885 come casa produttrice di astucci in cuoio fiorentino, si è infatti convertita alla lavorazione di altri oggetti di pelletteria, in particolare accessori e soprattutto borse. Nell’ambito della produzione di nuovi materiali uno degli eventi più rilevanti è forse negli anni settanta l’impiego del nuovo “tessuto” ultraleggero e resistente, soft, nella realizzazione di impermeabili e grandi borse morbide. È interessante notare, anche se può sembrare ormai scontato, come il marchio “G” sia divenuto talvolta, come nelle stesse borse Softy o nelle valigie e nei bauletti, così come negli ombrelli e negli impermeabili con lo stesso rivestimento, elemento unico e costante di decoro. Vera icona, grande impronta di design.
È confortante avere la certezza che tutto il bagaglio di conoscenze dei Gherardini non sia andato vanificandosi ma sia stato raccolto dalla famiglia fiorentina Braccialini che ne ha rilevato il marchio e ha iniziato a condurre un’operazione internazionale di lancio di esemplari nuovi su modelli che hanno fatto storia, come la borsa modello 1212, ad esempio. Non solo, ma il fattore forse più importante sta nel fatto che sono rimaste le modalità di produzione artigianale, mentre il mercato sta assumendo un’estensione diversa e sta pertanto ulteriormente diffondendo il Made in Italy nel mondo, anche in Oriente.
Consapevole dell’importanza storica, artistica e artigianale di questo marchio, l’erede Susanna Gherardini un anno fa ha deciso di donare alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti, museo dedicato alla storia della moda, un nucleo di esemplari di borse e pochette che segnano alcune tappe significative tra le creazioni Gherardini, sia per le tecniche di lavorazione, sia per la singolarità del modello, pur trattandosi di accessori che possiamo definire “classici”, che si allineano alla moda pur andando oltre la moda. La stessa Susanna ha ceduto anche parte dell’eccentrico guardaroba della madre, signora Maria Grazia Lunardi Gherardini, il cui stile costituisce un esempio di come si può essere unici e originali commissionando i propri capi a esperti e raffinati couturier, ma indirizzandoli con le proprie idee nella elaborazione e nella scelta di modelli.
Dal 1885 al 1950
G ià nel nome, Garibaldo, il destino: quello di condottiero di un moderno “casato” della moda, un alfiere del bello e dell’eleganza, un difensore dell’arte manuale e di quella fiorentinità che resta un baluardo dello stile. E poi un cognome, Gherardini, che ha origini lontane e che forse riconduce a una nobile fanciulla, Lisa, detta del Giocondo, che resta la donna più ammirata del mondo con quel sorriso di mistero che le ha donato Leonardo da Vinci. Troppo? Neanche un po’ visto che la vita e la storia di Garibaldo Gherardini sono il pilastro della favola bella ma vera che stiamo per raccontare e che fa del marchio Gherardini, che compie 125 anni, una magnifica avventura del Made in Italy. La prima per anzianità, e non solo.
Una realtà che galoppa tra fine Ottocento, Novecento e anni Duemila mantenendo inalterati i valori iniziali, quel cuore, quel coraggio e quella passione che fecero aprire bottega nella primavera del 1885 a un giovane di grandi speranze di appena ventiquattro anni. Trascorsi tutti con quel nome addosso, Garibaldo appunto, che è esso stesso un manifesto intrepido della famiglia d’origine, a dire poco patriottica, e di quella Firenze che, cacciato il granduca, ha vissuto tra 1865 e 1870 i fasti effimeri e perigliosi della prima capitale d’Italia per poi cedere il passo alla grandiosità di Roma, senza nostalgia e tanto meno rancore, tra malinconia e disinganno, bevendo secondo il motto ricasoliano “una tazza di veleno”. È in questa città di illusioni e disinganni, dove si sono trasferiti trentamila funzionari e dove la corte sabauda passeggia nel giardino di Boboli, che l’Italia e gli italiani muovono i primi passi. È a Firenze, affogata dai debiti per lo sforzo monarchico, con il bilancio del Comune a brandelli ma la voglia di continuare a essere l’Atene d’Italia, che Garibaldo cresce (è nato il 28 marzo 1861, pochi giorni dopo l’Unità) e magari vede, ancora fanciullo, la copia in bronzo del David di Michelangelo nel mezzo del piazzale, nel giugno del 1872, e poi, chissà, anche il curioso trasporto con uno speciale marchingegno dell’originale da piazza della Signoria all’Accademia, dove risplende dal 30 luglio del 1873. In casa, quando ha tredici anni, avrà sentito dell’arresto delle sigaraie, degli scioperi delle trecciaiole, dell’ascesa sconvolgente del prezzo del pane, dei primi arresti di internazionalisti, che forse stanno dalla stessa parte del padre che gli ha dato quel nome poco “santo” ma tanto popolare, un credo e un sigillo che lo accompagneranno tutta la vita e fino alla morte il 12 giugno del 1945 (dopo quasi un anno dalla Liberazione di Firenze) visto che verrà sepolto nel campo degli atei perché volle essere cremato. Dove riposa ancora, all’ombra di un bel monumento funebre che lo ritrae gagliardo con il cappello della festa e i baffoni dell’uomo tutto di un pezzo.
E pare di rivederlo, quel giovanotto con la gabbanella sporca di cera e di cuoio, aprire gli sporti della bottega dapprima in via del Fiordaliso e subito dopo in via della Vigna Nuova, dove la storia di Gherardini inizia e continua ancora oggi, in quelle prime giornate del 1885 con la voglia di sfondare di ogni pioniere, la grinta dell’artigiano che sa di avere alle spalle il lavoro dei colleghi delle arti medievali, i cuoiai e i galigai, l’entusiasmo di ogni ventenne che cerca la sua strada. Tra gli astucci che disegna e sbozza con i primi lavoranti, quegli scrigni per signora e necessaire per gentiluomo che riveste di cuoio fiorentino, con le dorature e i ghirigori che ricordano i disegni dei palazzi del Rinascimento, primi fra tutti quello quasi dirimpettaio dei Rucellai disegnato da Leon Battista Alberti e poi fatti un po’ di passi quello degli Strozzi costruito per buona parte da Benedetto da Maiano, forse la casa di pietra più bella del mondo. E anche a lui, come tanti anni dopo a un altro creativo come Emilio Pucci, deve essere bastato per il suo lavoro ispirarsi alla grandezza della sua città, ai suoi colori, ai suoi dettagli, a quel genius loci che poi ha portato fortuna anche a Guccio Gucci nel 1921 e a Salvatore Ferragamo nei primissimi anni trenta quando, tornato dai fasti hollywoodiani, acquistò come casa-fabbrica l’antico palazzo Feroni Spini. Ma Garibaldo Gherardini è stato il primo dei grandi inventori del Made in Italy, e oggi forse qualcuno lo chiamerebbe perfino stilista-imprenditore, a capire che non c’erano solo astucci e cornici, scatole da fumo e delicate minaudières, che si poteva e si doveva tentare un’altra strada, quella della moda allora agli albori e della pelletteria con la miriade degli accessori, per ogni ora della giornata dell’uomo e della donna.
La bottega
Cristina Caldini venne assunta dai Gherardini a soli quindici anni come ragazza di bottega. La sua carriera, in continua ascesa, durò fino al 1995. Correva l’anno 1961 quando iniziò a lavorare e, all’epoca, Ugo e Gino erano soprattutto uomini di bottega e non imprenditori. Di questi anni fervidi di attività, la Caldini racconta i suoi ricordi e Mauro Biffoli ogni tanto aggiunge i propri. Se la ricca borghesia della provincia non esitava a spendere, le signore dell’aristocrazia fiorentina si distinguevano invece per l’indole capricciosa e spesso avara. Cristina Caldini racconta le visite in negozio della principessa C. La nobildonna si portava al seguito i suoi due pastori maremmani che puntualmente inzaccheravano il pavimento. La principessa usava accomodarsi su una poltrona per visionare i modelli e i cani si installavano al suo fianco, uno per lato, come statue di marmo. I Gherardini le mostravano tutte le borse del negozio, ma lei non acquistava mai alla prima visita. Dopo qualche ora infatti guadagnava l’uscita e, rivolgendosi alla commessa, annunciava sulla soglia: “Si ritorna!”.
Mauro Biffoli, dal canto suo, rievoca con un sorriso quella volta in cui si affacciò dal laboratorio e scorse in negozio un uomo distinto con un piede poggiato trionfalmente su uno sgabello. Più tardi venne a sapere che si trattava di Edoardo duca di Windsor, rivoltosi ai Gherardini per acquistare una borsa per Wallis Simpson.
Allora come oggi Gherardini si contendeva la clientela fiorentina con un rivale di grande spicco, Gucci, il cui negozio distava pochi metri, in via de’ Tornabuoni. Le due famiglie ufficialmente mantenevano rapporti di cordiale rispetto e non mancavano di salutarsi e di scambiare qualche parola. I lavoranti di Gherardini però erano diffidati persino dal solo sostare davanti alla loro vetrina e ciò dimostrava l’irriducibile competizione che, al di là delle apparenze, animava le due case di moda. Caldini e Biffoli a proposito di Gucci raccontano della fortunata combinazione che ne salvò il negozio dall’alluvione del 1966. Caso volle infatti che l’esondazione dell’Arno si arrestasse proprio davanti alla Loggia Rucellai, riempiendo di mota il negozio dei Gherardini e lasciando invece illeso quello dei Gucci.
Cristina Caldini non manca di ricordare un particolare suggestivo anche sulla famosa Shopping Bag. I Gherardini fecero realizzare queste borse fuori dall’orario di lavoro, da artigiani storici dell’azienda e da giovani aiutanti. In questo modo consentirono loro di guadagnare bene e di costruire delle case nel quartiere che oggi circonda l’azienda e che allora non esisteva neppure.
Softy e Millerighe
Il rivoluzionario tessuto Softy fu creato alla fine degli anni sessanta come soluzione a svariati inconvenienti di tenuta tipici del pellame, quali la pesantezza, la tendenza all’ingiallimento e l’insufficiente resistenza. Pier Luigi Gherardini decise di sanare tali imperfezioni, promuovendo la creazione di un ritrovato in grado di garantire una migliore qualità del prodotto senza intaccarne al contempo la resa estetica. Tra il 1974 e il 1975 incaricò la Gommatex Poliuretani S.p.A. di sviluppare un medium che potesse corrispondere alle esigenze del marchio. Gli ingegneri della Gommatex idearono un preparato che ha origine dalla spalmatura di un tessuto 100% cotone con due strati colorati e adesivi di poliuretano. In seguito all’applicazione del film, viene effettuata la fase di stampa a cilindro, grazie alla quale sul tessuto spalmato si imprime un fondo a effetto capretto e il logo in negativo di Gherardini. Nasce così il brevetto del Ghe Cotone, un articolo di pelletteria molto più elastico e durevole di qualsiasi altro supporto, con caratteristiche affini a quelle del tessuto dei paracadute. Con l’innovazione tecnologica del settore chimico, negli anni ottanta, il brevetto si perfeziona mediante la spalmatura con ben tre strati di poliuretano. A quel periodo risale anche la sostituzione del cotone con il nylon, al fine di rendere la struttura più morbida e leggera.
Tra gli anni novanta e il 2005 il prodotto, ormai denominato Ghe Softy, si evolve grazie alla base in poliestere 100% al posto del nylon e all’utilizzo di poliuretani di nuova generazione che ne hanno aumentato la tolleranza alla luce, alla manipolazione e all’idrolisi. Modifiche che trasformano il tessuto nel Ghe Softy HHR (High Hydrolysis Resistance).
Il Gherardini Gross o Millerighe viene prodotto nel 2000 in funzione degli articoli della linea uomo, per cui occorreva un materiale più robusto. Come il Softy, è realizzato tramite un processo di coagulazione che unisce un supporto tessile, stavolta più spesso, con un film di poliuretano. La goffratura in superficie, che crea l’effetto millerighe, è invece ottenuta a caldo per incisione e pressione. Il risultato viene infine accoppiato sul rovescio con una tela spigata in cotone che porta il colore richiesto e il logo della casa di moda. Elastici e malleabili, Softy e Gross si prestano alla stampa di svariati sfondi, come l’effetto capretto e l’effetto tessile, e la loro versatilità e piacevolezza tattile ne permettono l’impiego nella produzione di borse, ma anche capi d’abbigliamento e valigeria.
Re-Thinking Monna Lisa
Il 19 giugno 2008, presso la Stazione Leopolda di Firenze, è stato allestito un happening dedicato al connubio tra arte e moda, tra passato e futuro: “Re-Thinking Monna Lisa Gherardini”. Tutto nasce dalla tesi di Vasari per cui la donna ritratta nella celeberrima opera di Leonardo, la Gioconda, sia identificabile con Lisa Gherardini, moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo e probabilmente ava dei fondatori della casa di moda. In linea con il “Progetto Archivio” lanciato da Braccialini per recuperare e rinnovare gli storici modelli della maison fiorentina, questo evento culturale prevedeva la rivisitazione delle borse cult Gherardini, le Shopping e la Bellona.
Dentro un circuito a labirinto dodici artisti, tra i quali Aldo Cibic, Marco Klee Fallani, Fulvia Mendini e il writer Torrick Ablack, hanno dato vita a una live-performance di giocondolatria, ossia di reinterpretazione dell’icona leonardesca, su pannelli di Softy. Da queste opere estemporanee sono nate le stampe di dodici Shopping, ribattezzate per l’occasione Shopping Monna Lisa, e tredici esemplari di Bellona. Tutte borse realizzate in tiratura limitata, di cui sono state messe all’asta su eBay la Monna Story, pezzo unico dipinto a mano dall’artista Giacomo Piussi e la Monna Rosa, prodotta in dodici modelli, caratterizzata delle tinte rosate e dagli inserti in coccodrillo fucsia.
Il ricavato della vendita di questi modelli unici ha finanziato il restauro di un dipinto di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. L’opera raffigura una sacra conversazione composta dalla Madonna con il Bambino, sant’Antonio Abate e un personaggio maschile non ancora identificato che abbevera un cane ai suoi piedi. La tavola fu realizzata a olio da un ignoto artista fiorentino del Cinquecento e proviene da un convento maschile soppresso in epoca antica. L’operazione di ripristino ha previsto la pulitura totale e il risanamento di alcuni frammenti lacunosi.
In collaborazione con la Fondazione Arte della Seta Lisio, Gherardini ha progettato una clutch in un tessuto che riproduce un dettaglio del dipinto. La disegnatrice, Julie Holyoke, ha recuperato la tavolozza dei colori dall’opera grazie a cui sono state selezionate le sete: la tessitura invece, eseguita da Marta Valdarni, è stata svolta su un telaio manuale collegato a un computer ed è durata sei giorni. Per una sola borsa sono occorsi 4000 giri di navetta e più di 2500 fili di ordito. È stata realizzata in un unico esemplare e al momento è esposta nella boutique di via della Vigna Nuova a Firenze: rimarrà parte dell’archivio e non è in vendita.
E-CO-Branding
Nel 2009 Gherardini abbraccia la vocazione di Amazonlife, brand brasiliano distribuito da Braccialini e da sempre impegnato nella tutela dell’ambiente. Insieme a Looney Tunes e Vivienne Westwood, gli altri due marchi di cui Braccialini è licenziataria, Gherardini sottoscrive il progetto chiamato E-CO-Branding, promosso dalla griffe ecologica. Amazonlife, oltre a produrre collezioni realizzate con materiali naturali come canvas, lino, rafia e cotone, reimpiega tessuti dismessi, al fine di tutelare la foresta Amazzonica dal disboscamento, e utilizza spesso il caucciù per rifiniture e decorazioni. Attraverso l’acquisto del caucciù prodotto in Brasile infatti, contribuisce alla sopravvivenza delle popolazioni di seringueiros, impegnate nell’estrazione e nella lavorazione del lattice. Il suo invito alla produzione eco-compatibile e alla salvaguardia delle tradizioni umane e di un ambiente sempre più martoriato viene ascoltato da queste firme che con il loro apporto intendono conferire maggiore risalto a questa missione.
Gherardini contribuisce, ideando ad hoc due versioni eco-friendly delle leggendarie Shopping Bag e Dodicidodici, la Sergeant Shopping TVB3 Misch e la Re-Cycled 1212 MBM. Si tratta di due modelli ecologici confezionati con materiali di recupero, quali tessuti, mostrine, medaglie e gradi ricavati dall’abbigliamento militare in disuso. Completamente prive di nickel in ogni loro componente, possiedono manici e inserti in cuoio vegetale ottenuto dal lattice estratto nella foresta Amazzonica e lavorato a mano dai seringueiros. L’assemblaggio della borsa è inoltre affidato a un collante costituito da una pasta cento per cento vegetale.
In linea con questa scelta, Vivienne Westwood aderisce all’iniziativa con Yasmine +5°4970, modello prodotto in canvas e caucciù e tinto con colori ad acqua. La stampa con la temperatura allude al surriscaldamento del pianeta. La Looney Tunes invece realizza la Bugs Bunny WB680, in canvas e con manici in gomma. Braccialini ovviamente non manca all’appello e dichiara il proprio impegno ecologico con Conorì B4500, decorata con inserti di plastica riciclata e piume di uccello. Danno il loro contributo all’operazione anche Mandarina Duck ed Evisu che impiega caucciù e jeans usati.